Occorre vivere l’essenza del Vangelo
in un modo adatto ai tempi,
alle circostanze e agli ambienti,
senza tuttavia toccarne lo spirito.
Per vivere così, occorrono
tanta grazia e tanta luce
e bisogna stare ben attenti
a non pretendere una spiritualità
fuori dell’umano e a non umanizzare
troppo la spiritualità”. (Bianca Piccolomini)
Bianca Piccolomini Clementini nasce a Siena il 7 aprile 1875 dai Conti Niccolò e Angiola Piccolomini Carli, seguita, appena un anno dopo, dalla sorellina Emilia morta a soli due anni e, nel 1880, dal fratello Pietro che avrà un ruolo importante nella sua vita.
Bianca ha solo sette anni quando le muore di tubercolosi il padre e questo lutto vela di mestizia la vita della famiglia: Bianca, ricordando il giorno della sua Prima Comunione, afferma che quello fu per lei il giorno delle sue “nozze con l’Eucaristia e con la Croce”.
L’ingente patrimonio dei Piccolomini ed il nobile animo della contessa Angiola permisero all’intera famiglia, unanime nella volontà caritativa, una larga e diffusa opera di beneficenza che sollevò dalle angustie molte opere benefiche della città legate alla Chiesa.
Il Conte Pietro, illuminato dalla fede e spronato dalla “Rerum Novarum”, non solo volle portare promozione sociale nelle tenute agricole di proprietà della famiglia, ma aprì le sale del suo palazzo a illustri conferenzieri che trattassero di argomenti sociali, religiosi, storici. E Bianca, profondamente unita al fratello, ne condivise con entusiasmo le idee e ne divenne collaboratrice e solerte segretaria.
Ma improvvisamente, in cinque giorni, a soli 27 anni, Pietro muore di scarlattina lasciando la moglie in attesa di un figlio. Per Bianca è uno schianto; si apre un vuoto che sembra incolmabile. Non possiamo fare a meno di pensare a Sant’Angela, così similmente provata da lutti familiari fino a rimanere sola.
Ma la fede è l’elemento fondante di questa famiglia: madre e figlia all’acerbo lutto reagiscono fondando in memoria del loro caro un laboratorio di sartoria e cucito per giovani operaie, con annessi corsi formativi e sollievi ricreativi; ed acquistano un locale per un circolo giovanile cattolico, per il quale Pietro si era verbalmente impegnato il giorno prima della sua improvvisa malattia.
L’attività benefica di Bianca continua indefessa in varie direzioni ma in questa fervida attività Bianca, impegnata sempre in prima persona, comincia ad avvertire il bisogno di compagne che condividano il suo ideale religioso, lo zelo apostolico di cui il suo animo è infiammato e che brama partecipare ad altri.
E’ animata e sostenuta dal nuovo direttore spirituale, Mons. Assunto Moretti, a cui si affida nonostante l’opposizione della madre che ancora vorrebbe esercitare autorità su di lei, ma Bianca questa volta è irremovibile e, pur con la massima affettuosità filiale, si libera da questa soggezione.
Siamo al momento della Fondazione: un susseguirsi di circostanze le indicano la Compagnia di Sant’Orsola come formula adatta alla vita di consacrazione nel mondo. Da lungo tempo si sente attratta ad una donazione totale a Dio, ma non è il convento che l’attira.
Il 25 novembre 1917, alla presenza dell’Arcivescovo Prospero Scaccia, nella Cappella del suo palazzo, nasce la Compagnia; con Bianca si consacrano due collaboratrici: Matilde Cantini e Zenobia Boscagli. La Contessa Angiola, prima diffidente verso una forma così inusuale di vita consacrata, lascia fare e un anno dopo chiede di entrare a far parte della Compagnia nella quale si consacrerà: le compagne che la seguiranno sono dirigenti e operaie, provenienti dalle varie opere.
Per Bianca attività e contemplazione dovevano armonizzarsi in perfetta unità e curò assiduamente la formazione delle sue figliuole, animandole e spronandole ad una intensa e profonda vita interiore basata su solide convinzioni di fede; e per loro sminuzzava mensilmente nella “congregazione” in forma semplice e comprensiva per tutte, argomenti seri, fondanti, solidi che potevano sostenerle in una intensa vita di donazione e di sacrificio.
Intanto nella Compagnia fiorivano le vocazioni e Bianca curò la sua famiglia facendosene Madre e Maestra, premurosa, accorta, saggia, previdente, coadiuvata da belle figure di figliuole da lei incoraggiate alla santità.
Innamorata di Sant’Angela ne profuse la spiritualità privilegiandone lo spirito di carità, la semplicità, il buon senso, l’amore e la fedeltà alla preghiera, l’unione fraterna…
Le opere continuavano a crescere di numero, sempre con oculatezza, con caratteristiche di familiarità, secondo le necessità dei tempi: nascono la scuola di agraria per i figli dei coloni, l’accoglienza delle madri nubili con il loro bambino, l’assistenza alle parrocchie abbandonate… Tutta questa attività le suggerisce di stendere delle Costituzioni per quelle figlie che volontariamente mettevano la loro vita a disposizione delle opere e che furono approvate dall’Arcivescovo di Siena nel 1937.
Ma il cuore di tutta questa realtà che fioriva intorno a lei era l’amore e il culto dell’Eucaristia, e opera delle opere quella dell’adorazione eucaristica riparatrice, opera che tuttora è viva a Santa Regina.
Nell’ultimo periodo della sua vita partecipò col più vivo interesse al movimento che animava le Compagnie e che sfocerà nella costituzione dell’organismo federativo, e fece parte delle prime riunioni sotto la presidenza di Mons. Bosetti.
Sempre, fin dall’infanzia, di salute gracile, con il passare degli anni i malanni si moltiplicano, le forze si attenuano piano, piano fino alla totale infermità e cecità. Si spense, sempre lucidissima, ai Primi Vespri dell’Assunta nel 1959.
Pochissimi giorni prima aveva fatto l’ultimo accorato appello all’unità della famiglia, aveva raccomandato la cura della formazione delle giovani, aveva alluso ai tempi nuovi dello Spirito di cui presentiva l’avvento con l’elezione di Giovanni XXIII e con l’annuncio della convocazione del Concilio.
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