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Biblioteca Mericiana
Libri e Autori a confronto con Sant'Angela Merici

contributo di Ennio Ferraglio.
Il testo, completo di note, è allegato in file pdf


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Lo spunto per questa ricerca è derivato dalla lettura di un saggio di Bernarda Ross, pubblicato ormai da molti anni, nel quale l’autrice cercava di costruire, nella maniera più esauriente possibile, una bibliografia mericiana che comprendesse tanto le fonti antiche quanto quelle moderne, manoscritte e a stampa, storiche e letterarie . Il lavoro è rimasto sostanzialmente insuperato, salvo un significativo contributo dato da Cecylia Łubieńska nel 1935 e successivamente non più integrato .
La lettura dei testi della Ross e della Łubieńska – ma, in particolare, del primo di questi – pur sotto forma di bibliografia, è particolarmente stimolante per una serie di motivi. In primo luogo, l’insieme dei lemmi è quantitativamente rilevante: poco meno di un migliaio di riferimenti bibliografici, per la stragrande maggioranza riguardanti pubblicazioni a stampa, antiche e moderne. Per la verità, il repertorio della Ross riguarda sia le fonti inerenti la vita di sant’Angela (131 lemmi), sia quelle riguardanti i suoi scritti (Regola, Testamento e Ricordi: 43 lemmi), sia più in generale la nascita, la diffusione ed il radicamento dell’Ordine in paesi diversi, europei ed extra-europei.
La continuità della produzione editoriale, che è il dato che maggiormente ci interessa, è segno di un interesse vitale e mai sopito per sant’Angela. Si tratta di un dato importante, legato non solo all’uso contingente che potevano fare delle biografie o di altri testi simili le diverse comunità religiose che si ispiravano al suo insegnamento e modello, ma anche per la lettura di carattere edificante che veniva svolta all’esterno, spesso raccomandata in virtù di una formazione morale e spirituale dei laici; compito che, negli anni della prima età moderna, si presentava come piuttosto arduo da realizzare da parte di chi aveva la cura d’anime.
È da segnalare, infine, la dimensione internazionale del fenomeno. Il repertorio della Ross varca i confini dell’Europa per prendere in considerazione ciò che è stato pubblicato in Canada e negli Stati Uniti. Sarebbe oltremodo interessante poter sondare, avvalendosi della possibilità di consultare elettronicamente le banche dati delle biblioteche di tutto il mondo, la produzione editoriale legata alla figura di sant’Angela Merici. Sono certo che la bibliografia mericiana crescerebbe di molto e forse anche con qualche dato inaspettato: ma un discorso simile merita un approfondimento a parte, che va ben oltre i limiti di questo intervento.
Del resto, la dimensione internazionale della diffusione dei libri riguardanti sant’Angela o, più in generale, le Orsoline, non è una realizzazione tipica della nostra era. Come si vedrà meglio in seguito, l’aspetto legato alla stampa e alla successiva divulgazione al di fuori dei confini italiani (politici e geografici) affonda le proprie radici già nel XVI-XVII secolo, tanto che non è improprio formulare l’osservazione che, di fatto, la diffusione di notizie riguardanti sant’Angela ebbe, fin da subito, una dimensione che andava ben oltre il ristretto ambito bresciano o, addirittura, italiano.
La dovizia rappresentata da una produzione bibliografica così consistente non deve, però, trarre in inganno. In realtà, ciò che sappiamo di Angela Merici è ricavato da biografie ripetitive – in particolare quelle della seconda “ondata”, cioè della fine del Cinquecento e di tutto il Seicento – ricche sì di particolari, ma ben lontane dalla sensibilità e dallo spirito critico che guida la ricerca contemporanea. È inoltre spesso problematico distinguere tra dato storico – accertato, cioè, attraverso le testimonianze documentarie – e ciò che riguarda, invece, la letteratura celebrativa e agiografica; non che quest’ultima fosse solo una sorta di riempitivo, in mancanza di fatti riguardanti la vita di Angela Merici, bensì solo la registrazione e il perpetuarsi della memoria di ciò che più faceva notizia, colpiva l’immaginario collettivo e metteva in moto la curiosità oltre che la devozione.
L’onore degli altari per Angela Merici era – per così dire – l’obiettivo inconfessato dei suoi primi biografi: lo si deduce leggendo le diverse e stratificate narrazioni agiografiche, nelle quali anche l’episodio più insignificante della sua vita veniva visto come manifestazione di un’anima predestinata alla santità. Basti, a titolo d’esempio, ricordare il fin troppo facile rilievo effettuato dal primo biografo, Francesco Landini, sul significato del nome Angela «et di nome et di vita», o della sua condizione di povera contadina «ma di santità nobile et famosa» .
Le biografie rappresentano, com’è facilmente intuibile, la base informativa di tutta la produzione letteraria su sant’Angela. I primi scrittori appartenevano allo stesso ambiente frequentato dalla santa ed alcuni di loro, se non avevano avuto l’opportunità di conoscerla di persona, avevano però potuto raccogliere testimonianze da soggetti che le erano stati vicini oppure mentre ne era ancora viva la memoria, come è il caso di Francesco Landini, di Giovan Battista Nazari e di Mattia Bellintani.
Quello che viene ricordato come il primo biografo di sant’Angela, Francesco Landini, in realtà non fu tale – o almeno non lo fu nel senso proprio del termine. Egli inserì le notizie su Angela all’interno di una lettera accompagnatoria della copia della Regola per l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo. Di questa lettera, che si sa scritta il 21 dicembre 1566 e diretta al padre minore Franceschino Visdomini, si è perso l’originale e non si conosce altro che un Estratto il quale, pur di scarso rilievo letterario, rappresenta comunque una testimonianza importante per comprendere quale fosse l’atteggiamento popolare nei confronti del ricordo di Angela Merici a distanza di ventisei anni dalla morte. Il Landini, infatti, non potendo contare su riferimenti personali pur essendo confessore della Compagnia di S. Orsola, fu costretto ad avvalersi delle testimonianze di altre persone, vissute all’epoca di Angela e che ebbero l’opportunità di conoscerla o frequentarla. Paradossalmente, quello che è un limite vistoso del suo lavoro (evidente nella dichiarazione: «né so dir il tutto perché non ho ora commodità d’andare a Brescia a parlar con le donne antiche sue famigliari») si rivela essere un prezioso indizio per comprendere la “presenza” di Angela Merici nell’ambiente bresciano: egli non compì altra operazione che trascrivere ciò che era di dominio pubblico, ciò che i membri della Compagnia tramandavano oralmente, in definitiva l’immagine popolare di colei che «è stata quasi reputata beata dalla città di Brescia». Quel “quasi”, dettato da prudenza e da una sorta di timore reverenziale nei confronti del destinatario ultimo della lettera, Carlo Borromeo, ha il sapore della conferma di quello che sembra un dato di fatto: a Brescia, il senso di venerazione per la figura di Angela Merici era particolarmente forte, prima ancora che venisse avviata alcuna procedura di beatificazione.
Di ben altro peso è la biografia scritta da Giovan Battista Nazari, anche perché redatta in forma ufficiale e generata da uno scopo preciso: raccogliere testimonianze autorevoli sulla vita di Angela Merici. Si tratta della Vita et morte della reverenda Madre suor Angela, seguita da Le justificationi della vita della reverenda Madre suor Angela, composte di seguito all’altra opera e costituenti un tutt’uno organico. Le Justificationi non sono altro che una sorta di verbale dell’interrogatorio di quattro testimoni oculari delle azioni di Angela Merici e rappresentano la base informativa della Vita; i testimoni appartengono ad un livello socio-economico elevato all’interno dell’ambito cittadino: Antonio Romano, Bertolino Boscoli, Agostino Gallo e Giacomo Chizzola. Emerge un primo dato significativo: furono gli ambienti borghesi e nobiliari, dapprima cittadini e immediatamente dopo al di fuori della cerchia bresciana, ad “impossessarsi” di Angela Merici; non è un caso, infatti, se oltre ai quattro personaggi bresciani testé menzionati, tutte le biografie – comprese quelle più lontane dalla sua morte – insistano sulla frequentazione da parte di Angela di esponenti delle classi sociali più elevate o, come nel caso di …. Sforza, dotati di un ruolo politico determinante per le sorti degli Stati dell’Italia settentrionale di allora.
Il trasferimento della figura mericiana dalla dimensione popolare e contadina ad un livello socialmente più elevato, reso manifesto, fra l’altro, dal frequente accenno agli “inviti a restare” che le sarebbero stati rivolti a più riprese da personalità del mondo laico ed ecclesiastico , si spiega alla luce del rinnovamento religioso che, a partire dal XVI secolo, gradualmente interessò ampi strati del mondo cattolico. Si trattava, com’è noto, di un rinnovamento che passava da un lato attraverso l’acculturazione del clero, dei monaci e degli strati medio-alti della popolazione, dall’altro attraverso una spiritualità che fondava sull’esperienza intima – non di rado mistica: qualche accenno è riscontrabile nella biografia di sant’Angela – e sull’operatività sociale la propria manifestazione più evidente.
La spiritualità di sant’Angela è molto moderna e attuale; lo era nel XV secolo, così come lo è ancora oggi. Ella si inserisce in una temperie caratterizzata da una spinta sempre più decisa verso un nuovo modo del vivere religioso, ma al tempo stesso ne rappresenta un modello di grande suggestione e fascino. I biografi contemporanei non tardarono ad apprezzare la modernità di quel modello e a metterne in evidenza gli aspetti innovativi. A questo proposito, paradigmatico è il racconto dei pellegrinaggi di sant’Angela: accanto alle mete tradizionali rappresentate da Roma e dalla Terra Santa, se ne scorgono altre due, la prima delle quali – a Mantova al sepolcro della beata Osanna – decisamente fuori dai percorsi “normali” dei pellegrini e la seconda – al Sacro Monte di Varallo – oggi meta assai frequentata da migliaia di persone ogni anno, ma alla fine del XV secolo ancora un po’ defilata .
Le numerose biografie contribuirono, com’è evidente, alla costruzione del modello mericiano. Un discorso a parte merita il cappuccino salodiano Mattia Bellintani, autore di due biografie distinte di sant’Angela, utilizzate in seguito per gli atti del processo. Le fonti che egli utilizzò sono, probabilmente, di derivazione orale grazie, da un lato, alla frequentazione, databile a prima del 1552, dell’ambiente nobiliare bresciano in seguito all’assunzione dell’incarico di precettore presso la famiglia Avogadro, dall’altro dal prolungato soggiorno a Salò, luogo dove la memoria di Angela Merici era a quei tempi molto viva. La debolezza delle fonti, unitamente ad un’indole che non lo portava verso la speculazione ma piuttosto verso il governo e l’azione, fanno sì che gli scritti del Bellintani dimostrino una notevole carenza nel rigore scientifico e nell’analisi critica dei fatti.
Molto letta e citata – e fondamentale per la bibliografia mericiana – appare invece la Vita scritta da Ottavio Gondi, gesuita fiorentino e predicatore assai noto nella sua epoca. Egli si avvalse, oltre che di documenti e testimonianze fino ad allora sconosciuti, anche della frequentazione dell’ambiente che circondava Alessandro Luzzago, protettore della Compagnia di Sant’Orsola e nipote di una delle prime governatrici dell’Ordine, Ginevra. È forse dalla frequentazione di casa Luzzago che il Gondi trasse le notizie sulle quali costruì, in seguito, la Vita della Beata Angela bresciana prima fondatrice della Compagnia di S. Orsola, pubblicata per la prima volta a Brescia nel 1600 e successivamente ristampata in una gran quantità di edizioni, sunti e traduzioni .
Come si deduce facilmente anche ad una lettura superficiale del testo, i debiti contratti dal Gondi nei confronti del Bellintani vanno ben oltre la semplice ispirazione; nonostante ciò, grazie anche alle prospettive legate alla diffusione dei libri a stampa, la Vita del gesuita fiorentino va annoverata tra i best-sellers del XVII secolo: il repertorio di Ilarino da Milano ed il Sommervogel ne riportano sei edizioni (Bologna: 1638; Brescia: 1600, 1605, 1619, 1620; Venezia: 1618); nel 1626 apparve, a Liegi, la prima traduzione in francese, seguita da reiterate edizioni .
La caratteristica delle biografie mericiane del XVII secolo, come del resto già si era accennato in precedenza, è l’internazionalità. Fu, infatti, soprattutto il mondo di cultura francese ad appropriarsi degli strumenti conoscitivi e a produrre nuove opere: si sa che l’opera del Gondi venne tradotta in francese e pubblicata a Parigi nel 1634 preceduta, nel 1626, da una biografia uscita a Liegi ma rimasta anonima; entrambe vennero accompagnate da numerosi sunti ed epitome, pure tradotti, delle biografie che allora circolavano in Italia.
Il periodo delle traduzioni venne, attorno alla metà del secolo, superato dalla prima biografia scritta direttamente in francese, autore l’oratoriano Jean Hugues Quarré; vi fu, inoltre, un ulteriore elemento di novità, tutt’altro che trascurabile: l’autore non desiderava tanto scrivere una biografia vera e propria, quanto spiegare, interpretare, valutare i momenti della vita di Angela Merici . L’opera ebbe molto successo, nonostante una certa prolissità che non sfuggì ai contemporanei, e rimase a lungo la biografia francese “ufficiale”, ben presto coronata da edizioni e sunti che ebbero una grande circolazione anche al di fuori dei confini nazionali.
All’interno dell’ambito bresciano l’interesse per Angela Merici e per la Compagnia fu sempre particolarmente vivo. Accanto ai già citati Nazari e Bellintani, va senz’altro nominato Bernardino Faino, superiore della Compagnia di S. Orsola di Brescia. Con lui, le biografie mericiane entrano in una dimensione moderna, caratterizzata dall’evidente sforzo di far collimare il racconto agiografico con la verità storica. Nel 1682 uscì a Bologna la sua Vita di Angela Merici, frutto di ricerche d’archivio, studi e trascrizioni .
La storia tipografica bresciana nel Seicento contiene molti spunti di interesse ed un dato sicuramente significativo: la produzione editoriale della prima metà del secolo è assai rilevante e quanto meno eterogenea ed in questo continua, in maniera naturale, ciò che si era verificato nel XVI secolo. Ma Brescia, pur essendo un centro popoloso e con una certa vivacità culturale, era, nel XVII secolo, inevitabilmente una città di provincia; inoltre, la posizione “di frontiera” faceva sì che fosse essenzialmente una città militare e che i bresciani, nobili e non, fossero dediti maggiormente all’uso delle armi che non dei libri.
Sorge, a questo punto, spontanea la domanda: perché, e per chi, si stamparono tutte quelle biografie di Angela Merici? È innegabile che il dato quantitativo, cioè conoscere il numero delle edizioni del testo del Gondi, per esempio, pur stimolante, risulta manchevole di elementi fondamentali per definire il quadro culturale, che appare senza dubbio più complesso di quanto una inveterata tradizione di studi di stampo romantico ha riversato sul Seicento italiano (basti, a questo proposito e fra le tante citazioni possibili, l’impietosa definizione data dal Manzoni nel cap. XXII de I promessi sposi: «quell’età sudicia e sfarzosa»).
Un primo tentativo di risposta alla domanda testé formulata potrebbe provenire dalla considerazione che, essendo il mercato bresciano facilmente saturabile – in ragione della “tipologia” culturale degli abitanti e della funzione militare della città – i libri venissero stampati per un mercato più ampio. Gli sbocchi tipici delle attività produttive bresciane erano, da prima dell’instaurazione della dominazione veneziana, diretti altrove e spesso anche la committenza era esterna. Questo spiega, in parte, le reiterate edizioni della Vita del Gondi (quattro nel giro di un ventennio) corredate da una tiratura presumibilmente considerevole.
Uno sguardo alle statistiche sulla produzione editoriale bresciana del XVII secolo può fornire qualche elemento utile per meglio definire il quadro culturale. Il censimento compiuto da Ugo Spini quattordici anni fa – ed ancora l’unico a nostra disposizione – permette di rilevare quanto segue: il 55% dei testi stampati era in latino ed il rimanente 45% in volgare; fra le opere in latino si notano soprattutto trattati teologici, di diritto canonico, di pastorale, di oratoria sacra e di esegesi biblica, allo stesso modo fra i testi in volgare si notano in particolare sermonari e biografie di santi . Nel complesso, circa il 70% della produzione editoriale, sia latina che volgare, interessava opere di contenuto religioso, per gran parte destinate alla formazione culturale e spirituale del clero all’interno dei seminari. La circolazione di questo tipo di libri avveniva, naturalmente, all’interno di strati della popolazione già perfettamente alfabetizzati, cioè quelli del clero secolare diocesano e delle comunità religiose – maschili e femminili – della città e in misura minore del territorio.
La rete commerciale bresciana, favorita da una legislazione veneziana abbastanza permissiva, aveva orizzonti europei. Solo in questo modo si spiega la capacità di assorbimento di opere stampate ripetutamente in un gran numero di copie, ma destinate esclusivamente a una clientela selezionata. Inoltre – elemento tutt’altro che trascurabile – gli autori dei trattati teologici, giuridici e morali che andavano per la maggiore non erano perlopiù italiani, bensì spagnoli, portoghesi, fiamminghi e francesi: la loro appartenenza ad Ordini religiosi diversi (con una netta prevalenza dei gesuiti), unitamente alla notorietà personale contribuivano a diffondere le loro opere ben al di là delle Alpi. A ciò si aggiunga il grande bacino d’utenza locale rappresentato dai parroci, curati e basso clero in generale, investito dal Concilio di Trento della responsabilità della catechesi e della formazione religiosa del popolo: difficilmente un don Abbondio avrebbe potuto provare interesse per qualche ponderoso trattato di teologia o diritto, preferendo invece le biografie dei santi, sicuramente di lettura più agevole se non altro per essere scritte in volgare.
I testi del Gondi, del Quarré e, di riflesso, quelli del Landini, del Nazari e del Bellintani si situano, pertanto, in un ambiente favorevole all’accoglienza di opere biografiche a sfondo religioso. Da queste Vite emerge però, un’Angela Merici forse un po’ “troppo santa”, in stridente contrasto, cioè, con la personalità assai più vivace, concreta ed interessante che si intuisce solamente attraverso la lettura dei suoi scritti – il Testamento ed i Ricordi –, ma anche da ciò che si ricava leggendo quanto scrive Gabriele Cozzano, suo segretario per molti anni : tra tutte le difficoltà che possiamo facilmente immaginare in un’epoca in cui le guerre, le malattie e la fame erano tristi e inevitabili compagne di viaggio di ciascun abitante dell’Europa, emerge la figura di una donna sicura e decisa, ferma nei giudizi ma al tempo stesso animata da profondo senso pratico. Un personaggio carismatico, quindi, ma certamente ben più reale e “vicino” di quello immerso in un’atmosfera soprannaturale di virtù, come invece appare quello che emerge dai profili tracciati dagli antichi biografi.
Con la sola, parziale, esclusione del testo del Nazari, si nota come l’agiografia continui a prevalere sulla storiografia e come i racconti tendano ad assumere l’aspetto di apologie, più che di vere e proprie biografie. In controtendenza rispetto alla linea seguita fino a quel momento si rivelano essere le opere di Carlo Doneda e di Girolamo Lombardi.
Nella Vita della b. Angela Merici da Desenzano fondatrice della Compagnia di Sant’Orsola, scritta e pubblicata a Brescia dal Doneda nel 1768, si ravvisano i primi sforzi per ricostruire la “vera” immagine di Angela Merici superando gli stereotipi di gran parte dell’agiografia precedente. Per la prima volta vi fu un massiccio ricorso alle fonti documentarie originali ed antiche: non è un caso che il Doneda avesse avuto, prima, una lunga esperienza lavorativa presso l’Archivio Capitolare di Brescia e, successivamente, dal 1757, avesse ricoperto la carica di bibliotecario della Queriniana.
Doneda scrisse la Vita non tanto per devozione quanto per ottemperare ad un preciso incarico. Dopo avere, infatti, espletato l’incombenza, avuta dalla madre superiora generale delle Orsoline di Brescia, «di sviscerare l’archivio di essa Compagnia» e di spedire a Roma tutto ciò che fosse stato utile alla causa, ricevette la commissione di scrivere una nuova biografia di Angela, dal momento che quelle precedenti – del Gondi e del Faino – erano non solo non più reperibili sul mercato librario, ma soprattutto «non si giudicò prudente consiglio rimettere o l’una o l’altra sotto de’ torchi» . Lo scopo ultimo era – se si presta fede alle parole dell’autore espresse nella prefazione al volume – di carattere divulgativo; nonostante questo intendimento, realizzato con alcuni accorgimenti formali e di stile (linguaggio scorrevole, note poste alla fine del libro, citazioni da altri autori amalgamate all’interno del testo) i contemporanei apprezzarono molto l’opera, in particolare il successivo biografo, Girolamo Lombardi, il quale, valutando quanto avevano scritto gli autori che lo avevano preceduto, si espresse in termini assai positivi riguardo a quest’opera .
L’interesse del Doneda per Angela Merici andava, comunque, ben al di là di una semplice commissione. Non va dimenticato, infatti, che fu promotore fiscale della Curia di Brescia al processo ordinario di beatificazione, ma soprattutto sub-promotore della fede in quello apostolico di canonizzazione. Ciò in ragione, oltre che delle doti personali ed intellettuali, della dimestichezza con le raccolte documentarie e la capacità, in più occasioni manifestata, di interpretare criticamente i dati rilevati dai documenti stessi.
Se con Doneda veniva a costituirsi la base di ogni ulteriore indagine biografica su Angela Merici – per senza oltrepassare in maniera significativa i limiti territoriali costuiti dalla diocesi di Brescia e dalle comunità delle Orsoline italiane – grazie all’apporto di Girolamo Lombardi venne prodotta, per la prima volta, la “summa” di tutto ciò che riguardava la vita della santa.
Pubblicata nel 1778, la Vita della beata Angela Merici fondatrice della Compagnia di sant’Orsola del Lombardi si situa perfettamente nell’ambito della storiografia religiosa di matrice illuministica. Si evince ciò, in particolare, dall’articolata documentazione posta a sostegno della narrazione dei fatti della vita di Angela, dalla minuzia ed acribia dei riferimenti e dal rigore metodologico della ricerca: ogni fatto, anche il più minuto, viene spiegato alla luce di documenti e testimonianze comprovabili, come fa fede anche il ricco ed articolato indice delle opere citate, posto alle pp. 357-366 del volume. Del resto, già nell’introduzione (“al cortese lettore”), l’autore ammoniva: «Le religiose Orsoline eziandio avranno finalmente la consolazione, che aspettano, di vedere una volta la Vita della lor Beata Madre uscire alla luce delle stampe con maggiore accuratezza e con ordine più distinto e in modo più ampio estesa, che non è stato finora: essendo quasi lamento comune che gli scrittori della sua Vita, in cambio di compilare la storia esatta delle azioni di lei a profitto di altri e informazione del pubblico, sembra in somma, ch’egli non abbian forse pensato, se non che di accozzare per sé una brieve memoria quasi per passatempo» ; il giudizio negativo sulla storiografia precedente prosegue, poi, a più riprese nel corso dell’introduzione, così come la continua sottolineatura della necessità di rifarsi alle fonti biografiche autentiche (nella fattispecie, gli scrittori contemporanei di Angela e gli atti dei processi relativi alla sua causa).
Girolamo Lombardi non poteva certo definirsi un autore minore . Veronese di origine, nel 1722 vestì l’abito della Compagnia di Gesù; molto noto a Roma, fece parte dell’Accademia dell’Arcadia (con il nome di Rambildo Ippocrenio) e collaborò spesso all’edizione di scritti di papa Benedetto XIV . Fu a lui che si rivolse la postulatrice della causa di Angela Merici, madre Luisa Schiantarelli, affinché scrivesse una biografia il più possibile completa ed attendibile: di questo rapporto rimane un ricco carteggio, che meriterebbe di essere studiato approfonditamente .
Le opere del Doneda e del Lombardi si situavano all’interno di un quadro culturale in fermento, caratterizzato da un lato da forti spinte verso un rinnovamento religioso, dall’altro dalla salvaguardia delle antiche tradizioni della Chiesa. Dal punto di vista della prassi legata alla canonizzazione dei santi, per tutto il corso del XVIII secolo non si registrarono interventi di rilievo, dopo il profondo esame della materia compiuto da Benedetto XIV . Quest’ultimo, assai incline a ritenere che l’intercessione dei santi fosse essenziale non solo alla vita del cristiano ma anche nella lotta alle eresie, prestava particolare attenzione alle richieste di canonizzazione che gli provenivano da diverse parti, compresi gli Stati nazionali e gli Ordini religiosi. È significativo il fatto che proprio durante il suo pontificato, le Orsoline romane facessero istanza di canonizzazione della loro fondatrice: ne è testimonianza, fra l’altro, un passaggio della biografia scritta dal Doneda .
Sotto il pontificato di Benedetto XIV, ed in misura minore lungo tutto il corso del secolo, si moltiplicarono le pubblicazioni di carattere agiografico, anche riguardanti santi minori o lontani geograficamente (in particolare dell’Oriente e delle Americhe). Il rinnovamento negli studi agiografici veniva attuato attraverso l’adozione di una metodologia più severa avente come obiettivo il recupero e lo studio delle fonti: la grande lezione del Mabillon e dei Padri Maurini era destinata a rivoluzionare tutti gli studi non solo di agiografia, ma anche e soprattutto più in generale della Storia della Chiesa .
Nel filone Doneda-Lombardi si collocano anche altri autori, quali Germano Jacopo Gussago e Filippo Maria Salvatori, anche se gli intendimenti critici non diedero sempre risultati apprezzabili, preferendo indulgere maggiormente sulla volgarizzazione di ciò che riguardava la biografia di sant’Angela.
In anni più vicini a noi, ma appartenenti al secolo scorso, numerosi autori si cimentarono con le biografie di sant’Angela: basti qui ricordare Giuditta Bertolotti, Luigi Fossati, Paolo Guerrini, Sigrid Undset, Cecylia Łubieńska, Teresa Ledóchowska, Antonio Cistellini, fino a giungere a Battista Dassa e a Curzia Ferrari. Molto spesso si tratta di opere di difficile attribuzione ad un genere letterario ben preciso, in quanto leggibili da più punti di vista, spesso contemporaneamente: biografie, ma anche agiografie e a volte opere di invenzione, spunti per meditazioni ed altro ancora. L’unica, importantissima eccezione proviene dal bel volume di Luciana Mariani, Elisa Tarolli e Marie Saynaeve, che rappresenta, forse, il primo vero studio critico sulla figura di sant’Angela Merici, con una ricchissima documentazione a sostegno di una lettura scientificamente corretta e umanamente profonda della vicenda terrena e spirituale della fondatrice della Compagnia.
Emerge, così, un aspetto “nuovo”: con le ultime biografie si assiste ad un mutamento di tendenza, che trova il moto propulsore nel desiderio realistico di scoprire la squisita umanità di Angela Merici ed il suo agire nel mondo come donna – mi si passi l’espressione – di carne e sangue pur all’interno della sublimazione della santità; di avvicinarla, cioè, alla nostra sensibilità scoprendone quei tratti umani che la rendono nostra contemporanea e soprattutto “cittadina del mondo”.



| 20 marzo 2012 | Italiano