di Liviana Gazzetta
Il contributo non vuole essere una ricostruzione delle iniziative dell’ordine a favore dell’istruzione e formazione delle giovani nel periodo indicato, ma piuttosto un’indagine sui modelli di genere che alcune/i protagoniste/i della ripresa dell’ordine e alcune istituzioni mericiane manifestano nella loro attività educativa: un’indagine necessariamente ancora indiziaria data la ricchezza e l’articolazione delle esperienze mericiane, anche solo in ambito italiano, e la mole della documentazione .
Lo studio, che si avvale sia di fonti primarie che secondarie, prende in esame alcune esperienze e testi educativi relativi alle orsoline di Maria Vergine Immacolata di Gandino, del Sacro Cuore di Maria di Breganze, di San Carlo di Milano, dell’Unione Romana dell’ordine di S. Orsola, delle orsoline Figlie di Maria Immacolata di Verona; inoltre della compagnia delle Figlie di Sant’Angela di Brescia, della compagnia di Siena, della compagnia di Treviso e della compagnia e del collegio di S. Orsola di Ferrara, esperienza confluita nell’ambito delle orsoline Figlie di Maria Immacolata di Verona.
Il periodo di rifioritura delle famiglie mericiane coincide con un processo di lunga durata che può essere definito di “scoperta” della centralità dell’educazione femminile per la società, un’educazione basata sull’assunzione della differenza tra i sessi come dato ontologico primario cui si fa corrispondere una differenza strutturale in ordine ai fini e ai ruoli maschili e femminili. Alle tesi sulla centralità del ruolo materno ed educativo delle donne, tuttavia, si accompagnano una implicita convinzione di inadeguatezza femminile al compito (per cui le donne stesse, a partire ovviamente dall’infanzia, devono essere fatte oggetto di specifica formazione) e tutta una serie di sospetti e dubbi sulle possibili conseguenze di questo stesso processo di educazione e istruzione femminile dal punto di vista etico-sociale.
Il mondo cattolico, in particolare, sviluppa in tal senso una sua ricchissima produzione precettistica rivolta alle giovani e alle donne, centrata appunto sul tema dell’ambivalenza della natura femminile, fatta di debolezza e leggerezza strutturali che implicano un’azione educativa specifica, e nello stesso tempo capace di particolare fortezza (è il modello della donna forte di ascendenza biblica) sul piano religioso e morale, se vincolata saldamente ai valori della tradizione cattolica.
Pur tenendo conto della varietà delle esperienze e delle testimonianze, sembra di poter dire che le iniziative mericiane nel secondo ‘800 e agli inizi del ‘900 in sostanza non si differenziarono rispetto al modello di genere prevalente. L’idea di fondo prevalente nell’intervento educativo sembra essere la tesi che nelle moderne forme di esposizione femminile fuori dalla sfera domestica, nella scuola, nel lavoro fuori casa, nelle forme di socialità, le giovani debbano essere tutelate, protette e corrette come soggetti deboli e moralmente a rischio. Non manca poi, a partire dagli anni Sessanta fino all’età giolittiana, un uso soprattutto ideologico di tale modello, cioè di contrasto della cosiddetta “rivoluzione” di cui anche le rivendicazioni e i processi di emancipazione femminile vengono considerati segni emblematici, così come le scuole pubbliche, gli asili froebeliani, la coeducazione tra i sessi…
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